A volte capita di sottoporre il nostro corpo ad uno sforzo a cui non siamo abituati, come ad esempio un lavoro in casa quale una ristrutturazione, un trasloco o qualsiasi altra situazione che richieda il nostro impegno fisico; ma può essere anche il primo allenamento in palestra o una sessione più impegnativa di altre.
In tutti questi casi c’è una richiesta muscolare maggiore del normale, soprattutto se siamo dei pelandroni amanti del divano, e il risultato è che il giorno successivo compaiono dolori, acciacchi e tensioni varie.
Questo avviene o per sovraccarico dell’apparato muscolo-scheletrico oppure perché, come si dice, “ho iniziato ad usare muscoli che non sapevo nemmeno di avere!”
Quando iniziamo ad usare muscoli “che nemmeno sappiamo di avere” abbiamo dolore.
È assolutamente normale. Il corpo si mette al lavoro per produrre più forza e resistenza, attuando una serie di meccanismi interni di cui il dolore è soltanto il sintomo percepito e ci dice: “ehi amico, ci sono alcune cose da sistemare qua, stai sereno e tranquillo, è tutto sotto controllo!”
Se siamo consapevoli di quello che abbiamo fatto il giorno prima (lo sforzo fisico non abituale) non ci preoccupiamo più di tanto. Ed effettivamente riduciamo gli sforzi, lasciando che il tempo e il corpo sistemino le cose e riprenda il nostro stato normale di benessere.
La stessa identica cosa accade nel momento in cui viviamo nella nostra giornata delle situazioni emozionali particolarmente turbolente di cui però non abbiamo grande consapevolezza. Può capitare che viviamo una situazione shock e che aumenti la tensione emotiva. Ma può succedere anche che lasciamo andare qualche blocco o preoccupazione con la conseguenza che una vecchia tensione si scioglie e se ne va.
Nel primo caso il nostro sistema corpo-emozione è costretto ad un lavoro eccessivo; nel secondo, lasciando andare qualcosa, iniziamo effettivamente ad utilizzare “parti di noi che non sapevamo neanche di avere!”
E così avviene lo stesso processo: il corpo mette in atto delle attività di riparazione o di recupero (sulle quali non c’è ragione di entrare nello specifico ora ma che possono essere oggetto di ricerca personale per il lettore) che hanno come sintomo esterno risultante un dolore.
Il problema, in questi casi, è che noi non colleghiamo l’avvenimento emotivo del giorno prima con l’insorgenza del dolore, perché siamo abituati, purtroppo, ancora a considerare il nostro corpo come una entità a sè stante, ipotizzando, in maniera assurda secondo ogni punto di vista razionale, che ci possa essere una separazione netta tra le componenti fondamentali dell’entità unica che siamo.
Sarebbe come dire che gli ingredienti di una pietanza sono completamente indipendenti uno dall’altro e che se aggiustiamo un ingrediente, il sapore, la consistenza, il profumo, l’esaltazione degli altri ingredienti e il piatto nel suo insieme non cambiano. Ecco questo è un dato di fatto ormai così evidente che è assurdo, nel 2016 (quasi 2017), dover ancora ribadire.
Ma torniamo al nostro shock o rilascio emotivo.
Quando succede che ci svegliamo una mattina con un dolore inaspettato o facciamo la notte in bianco per un malessere di cui non capiamo l’origine, ci spaventiamo come bambini piccoli che non sanno cosa sta succedendo; presi dal panico ci stressiamo ancora di più con preoccupazioni riguardanti qualcosa di ignoto e corriamo veloci dal nostro medico di fiducia il quale, cercando di interpretarci meglio che può, ci inserisce in una classificazione tratta da un manuale e ci prescrive una cura.
Non c’è logica e nemmeno saggezza in un simile modo di reagire.
Una persona consapevole ed evoluta cerca, quantomeno, di non scivolare subito nel panico dell’ignoto e osserva con attenzione il messaggio.
Una persona consapevoel ed evoluta comincia a farsi delle domande: che zona mi fa male? Che tipo di dolore è? Mentre faccio cosa? E soprattutto: cosa mi è successo ieri da avermi fatto reagire (fisicamente o emotivamente) in maniera non abituale inducendo i miei sistemi di recupero o riparazione a mettersi al lavoro?
Osservare l’approccio che abbiamo verso il nostro corpo fisico e riportarlo anche alle altre sfere di noi è un modo saggio ed evoluto di prendersi cura di sé, perché consente di recepire i messaggi che noi stessi ci stiamo inviando.
Andare nel panico, esagerare l’importanza del sintomo contribuendo soltanto ad aumentarne l’impronta nel nostro cervello e cercare immediatamente un modo per mettere a tacere quel messaggio è il tipico comportamento delle persone addormentate, totalmente disconnesse da se stesse e sorde a qualsiasi richiesta venga dal proprio universo interiore.
Quindi impariamo ad ascoltarci di più, ad essere consapevoli dei moti esterni ma anche di quelli interni a noi, lasciamoci guidare dai nostri sintomi. Ognuno di noi vive nel proprio corpo, la nostra essenza è parte costituente di ogni nostra cellula, così ogni pensiero, emozione, ricordo, avvenimento si imprime in ogni cellula del corpo fisico condizionandolo.
È assurdo pensare : non so cosa sta succedendo alla mia schiena! O alla mia pancia! O al mio braccio! Ricorda che è tuo!
Esci dall’ipnosi che ti vuole estraneo a te stesso e ritorna a essere padrone di ciò che è al tuo servizio.
È un percorso lungo. Ti conviene iniziare subito.
Per approfondire