“Alice nel paese delle meraviglie” mi ha sempre fatto paura!
Lo trovavo paradossale, come si può aver paura di un cartone animato?
Finchè non ho capito cosa c’era dietro.
Ricordo che una sera, ero piccola, avrà avuto 7 o 8 anni, ero tra le braccia del papà nella poltrona del salotto a guardare questo cartone animato insieme a lui.
E ad un certo punto ho avvertito l’ansia di Alice, persa e disorientata, nel tentativo di cercare la strada per tornare a casa.
Sono entrata visceralmente ed empaticamente dentro le sue emozioni, ritrovandomi lì a vagare per quelle strade di fantasia in cerca di quella giusta, con quell’antipatico Stregatto che se la rideva e si prendeva gioco di me!
Da bambini siamo molto bravi a fare questo. Siamo piccole spugne che sentono senza filtri. E quello che sentivo non mi piaceva.
Sono letteralmente fuggita da quella situazione per rintanarmi dalla nonna nell’appartamento di fianco a guardare “pistoe che core e cavai che spara” (pistole che corrono e cavalli che sparano), come lei definiva i films western.
Almeno lì non capivo la trama, vedevo solo questi grandi spazi del lontano west (una zona del mondo che neanche sapevo dov’era), cowboys sudati col cappello in testa e cavalli impazziti che si rincorrevano.
Niente disagio e nessuna identificazione con bambine in difficoltà.
E’ stato, credo, il mio primo incontro con il senso di ansia che genera in noi il fatto di non sapere dove stiamo andando o come fare per uscire da quel posto lì, che non fa per noi, non vogliamo più.
L’ansia che proviamo al desiderio di ritrovare la nostra via e di ricongiungerci con qualcosa che ci è familiare nel profondo, ad un livello che non sappiamo spiegare ma possiamo benissimo sentire. Quel qualcosa che rappresenta CASA.
E come Alice ad un certo punto del nostro viaggio comprendiamo che casa è lì, dove siamo noi, ma incapaci di riconoscerci se non dopo un lungo peregrinare che ci riporta alla partenza, al nostro essere dormienti sotto un albero, mentre di qua della serratura gridiamo a noi stessi “Ehi, svegliati!”
Grande onore alla vibrazione del raggio INDACO che ci accompagna lungo il viaggio per il riconoscimento della nostra direzione, della visione di noi oggi per quello che siamo e di noi domani per ciò che vogliamo realizzare portando nel mondo valori preziosi per l’umanità.
Così oggi leggo con curiosità e simbolismo le vicende di Alice, pregne di messaggi e indizi o, se vogliamo, SEGNALI.
Cos’è un segnale se non una indicazione, un cartello stradale?
Rallenta, accelera, attento alla curva, svolta a destra, di qua meglio non passare.
Il nostro presente è intriso di segnali ad ogni nostro passaggio. Eppure spesso tiriamo dritti senza nemmeno osservarli, come se fosse possibile guidare l’auto ad occhi chiusi sperando di non andare a sbattere da nessuna parte, non uscire mai di strada e non farsi mai male.
Ed è proprio quello che facciamo spesso.
Ho voluto approfondire il tema dei segnali, molto caro alla vibrazione del colore INDACO, chiedendo a qualcuno che fa di questo il proprio servizio, qualcuno che aiuta le persone a riconnettersi al presente imparando ad osservare e leggere ciò che succede intorno, così che le circostanze e gli eventi non siano solo casualità, bensì, attraverso lo sviluppo di una visione più aperta e connessa, diventino il mezzo attraverso cui l’Universo (che poi non siamo altro che noi stessi proiettati in esso) comunica con la nostra parte più cosciente.
Lei è Eliana Santin, ideatrice del Metodo C.R.E.A.R.SI. e con lei ho giocato a fare l’intervistatrice, perché volevo che potesse trasparire la sua dolcezza nell’esprimersi e perché ci tenevo che venisse stimolata la qualità intuitiva e di visualizzazione che è in ognuno di noi.
All’interno dell’intervista parliamo di:
Trovi l’intervista qui:
Oppure su YouTube a questo link: https://youtu.be/Z75eqhSoX3g